Un socialista fa la differenza!

Intervento di Manuele Bertoli al Congresso elettorale del PS, 18 novembre 2018

Care compagne,
Cari compagni,

Cosa vogliono i socialisti? Cosa offrono i socialisti? Cosa hanno fatto e cosa stanno facendo i socialisti? È attorno alle risposte a queste poche domande e alla nostra capacità di fare arrivare queste risposte direttamente ai ticinesi che il prossimo 7 aprile sarà deciso il ruolo del PS nella politica cantonale per i prossimi quattro anni.

Quello che vogliamo è chiaro: giustizia sociale, solidarietà, rispetto dell’ambiente e apertura. Per una società a misura d’uomo, contro le prepotenze, capace di costruire prospettive per tutti, capace di capire e rispondere alle esigenze di chi ha bisogno, pacifica e cooperativa. Sono valori forti, di cui dobbiamo essere fieri portatori, anche se il periodo storico in cui viviamo non è favorevole. Ma è proprio quando il vento è contrario che il nostro esserci diventa ancora più importante, che la necessità di ribadire con forza e orgoglio i nostri principi diventa essenziale.

Cosa offriamo lo dicono la nostra storia e il nostro presente: tanto impegno, capacità di visione per il futuro, serietà nell’azione, un orientamento generale alla risoluzione dei problemi e un’apertura al dialogo con le forze politiche che vogliono costruire risposte concrete a problemi concreti. È per questa nostra determinazione e questa nostra postura che diamo così fastidio.

A chi ha obiettivi diametralmente opposti ai nostri, come l’UDC, che vorrebbe una Svizzera richiusa come una fortezza, servile con i benestanti e dura con chi fa più fatica, che nella scuola ripropone la selezione precoce tanto ingiusta e grossolana.

Al PLRT, che ha fatto della perdita della direzione del DECS una questione di potere, quasi come se questo pezzo di istituzione di tutti i ticinesi gli appartenesse, fosse cosa loro. Fino a qualche anno fa nel nostro Cantone si auspicava il passaggio dei Dipartimenti che per decenni avevano avuto un solo riferimento politico e oggi, improvvisamente, per piccoli calcoli di bottega il “partitone” rispolvera l’ancien regime, con una disinvolta operazione di restaurazione del peggior dipartimentalismo che non fa certo onore alla sua storia.

Ma noi diamo fastidio anche a sinistra, a chi pretende di essere sempre meglio di noi, non esita a dar lezioni non richieste, ama rimirarsi nello specchio di una coerenza che dimentica facilmente quel che conviene dimenticare e non riesce a ragionare in maniera cooperativa.

Tutti purtroppo legati da un solo obiettivo: vederci perdere il seggio al Consiglio di Stato, gli uni per ragioni politiche o di potere, gli altri ingenuamente persi nell’illusione che questo possa essere un bene per la sinistra ticinese e gli interessi che essa rappresenta. Tocca a noi impegnarci per dimostrare a tutti costoro che questo non accadrà, che la nostra presenza anche in Governo, forse ancor più importante che in passato, sarà riconfermata e che quella in Gran Consiglio sarà rafforzata.

Cosa hanno fatto i socialisti e cosa stanno facendo?

La nostra storia parla chiaro. Parla delle lotte per la dignità del lavoro, della costruzione del sistema sociale in questo Paese e in questo Cantone, con le grandi assicurazioni sociali nazionali (AVS, AI, assicurazione disoccupazione, assicurazione malattia) e in Ticino con il sistema integrato delle prestazioni sociali e gli assegni di famiglia. Parla del sistema sanitario, con la creazione dell’Ente ospedaliero cantonale, nel quale deve finire anche il Cardiocentro, e il suo sviluppo con la Facoltà di scienze biomediche che ho avuto l’onore di portare in Gran Consiglio. Parla dello sviluppo dei servizi di assistenza e cura a domicilio. Parla dell’impegno per l’ambiente da ormai molti decenni, con il trasferimento delle merci dalla strada alla ferrovia, l’abbandono del nucleare, l’efficienza e il risparmio energetici, uno smaltimento efficace dei rifiuti che alla fine con la tassa sul sacco ha convinto anche Claudio Zali. Parla di una scuola pubblica forte, con l’allievo e le sue esigenze al centro, della volontà di fare significativi passi avanti per accompagnare bambini e ragazzi verso una solida formazione. Parla di una capacità di accoglienza di chi chiede aiuto al nostro Paese perché in fuga dalla violenza e dalla miseria.

Una storia che parla anche della ricerca di un rapporto sano tra necessità sociali ed economia, senza demonizzare chi fa impresa ma con la richiesta chiara al mondo economico del rispetto di criteri sociali e ambientali irrinunciabili. Una società giusta, solidale, ecologica e aperta. È per questo che abbiamo sempre lavorato, che stiamo lavorando e che continueremo a lavorare anche in futuro. Assieme, chi in Governo, chi nei parlamenti federale e cantonale, chi nei Comuni, chi nella società. Senza sciocche contrapposizioni e confusioni di ruolo, ma con complementarità e obiettivi chiari.

Per continuare a farlo dobbiamo convincere le ticinesi e i ticinesi a sostenerci, soprattutto a votare le nostre liste e non solo le candidate o i candidati, perché sarà soprattutto sui voti di lista che si farà la differenza.

Votare la lista socialista alle prossime elezioni cantonali significa sostenere un salario minimo dignitoso, non come quello approvato dai miei colleghi. Significa sostenere una scuola pubblica di qualità per tutti. Significa sviluppare e non mortificare il sistema sociale. Significa garantire un servizio pubblico solido e di qualità. Significa dire di no alle baronie. Significa rafforzare la cura dell’ambiente. Significa mettersi nei panni di chi esprime disagi sociali effettivi. Significa evitare di sprecare risorse pubbliche in gesti servili con chi ha grandi disponibilità economiche. Significa essere aperti al mondo che ci circonda, fieri del nostro Paese e di quello che esso può fare collaborando con gli altri. Significa capire che le migliaia e migliaia di morti nel Mediterraneo sono anche affare nostro, perché sono uomini e donne esattamente come noi.

In Governo e in Gran Consiglio ci siamo sempre mossi in questa direzione e continueremo a farlo anche nella prossima legislatura.

In una campagna elettorale sono prioritarie le idee, ma sono importanti anche i simboli. Per questo ho deciso di colorare di rosso il mio bastone, fedele compagno di viaggio che mi indica la strada, mi permette di evitare gli ostacoli e mi aiuta a riconoscere il giusto percorso. L’ho dipinto di rosso, il colore della passione e della giusta reazione contro le ingiustizie. L’ho dipinto di rosso perché è il colore delle nostre bandiere, il nostro colore. Serve a mostrare che ci siamo e che la nostra presenza in Governo, oggi come ieri, ha fatto e continuerà a fare la differenza.

Riforma sì, sgravi a pioggia no (laRegione, 1.10.2018)

Anche il Cantone Ticino dovrà adeguare prima o poi la sua legislazione fiscale alla prossima scomparsa dei regimi tributari agevolati per le holding, le società di amministrazione e le società ausiliarie. Dovremo prima attendere che le decisioni sul piano federale divengano definitive, con ogni probabilità mediante un voto popolare previsto nella prima parte del prossimo anno, ma poi si dovrà procedere. La scomparsa di queste agevolazioni fiscali è un bene, perché riporta un po’ di giustizia in questo ambito, cancellando privilegi ingiustificabili e inopportuni elementi di opacità del sistema tributario. Si tratta ora di affrontare questa riforma con pragmatismo, facendo l’interesse generale dei ticinesi, che necessitano di uno Stato con risorse adeguate, ed evitando le insidie dell’insensata concorrenza fiscale tra i Cantoni che purtroppo la maggioranza delle forze politiche e del popolo non ha mai voluto arginare.
La riforma dovrà proporre una nuova aliquota unica cantonale sugli utili delle società a fronte degli attuali due regimi esistenti, quello ordinario e quello agevolato. La nuova aliquota unica chiederà meno alle società attualmente in regime ordinario, che pagano oggi al Cantone il 9% sugli utili, e chiederà di più alle società in regime agevolato, che oggi pagano al Cantone al massimo il 4,5%. Nella misura in cui il saldo finale per il Cantone sarà neutro o positivo, comprese le maggiori entrate che verranno da Berna, quest’operazione si potrà chiamare riforma, nel senso di un intervento che modifica la struttura del prelievo fiscale adeguandosi al diritto superiore e basta. Ma se a questa riforma si vorranno aggiungere dei regali, che non sono né necessari né connessi con il cambiamento di sistema, allora la riforma si trasforma in qualcosa di diverso, qualcosa di molto simile a quel che il Ticino ha già vissuto nella seconda parte degli anni 90 e dei primi anni 2000, anni durante i quali a raffica il Governo chiedeva di approvare pacchetti di sgravi fiscali per persone fisiche e persone giuridiche e poi, al contempo, proponeva misure di risanamento dei conti.
Il Preventivo dello Stato per il 2019 contiene l’indicazione secondo cui, tra le possibili nuove misure ancora non decise, vi sarebbe un’operazione fiscale da 60 milioni. Questa indicazione numerica ci dice due cose. La prima è che di per sé l’adattamento della legislazione tributaria ticinese alla soppressione dei regimi agevolati si può fare a costo zero, proponendo un’aliquota unica per le società interessante anche dal punto di vista della concorrenza fiscale. La seconda è che il ventilato abbassamento del moltiplicatore cantonale del 5% per persone giuridiche e fisiche (frontalieri compresi), che guarda caso costa oggi più di 60 milioni, è un’operazione posticcia rispetto alla riforma strutturale necessaria. Un’operazione che ci riporterebbe indietro di 20 anni anche nella modalità di costruzione del consenso, perché dopo l’esperienza della simmetria dei vantaggi del recente pacchetto fiscale e sociale, a mio modo di vedere positiva, che a fronte di sgravi cantonali per 22 milioni ha previsto un contributo dell’economia per 21 milioni a favore della socialità (i primi effetti sociali li abbiamo visti di recente con le misure sui nidi d’infanzia e le strutture extrascolastiche), ci fa tornare al meccanismo masoniano di “acquisto” del consenso attraverso gli sgravi a innaffiatoio, che costa moltissimo e sperpera il denaro, perché favorisce quasi solo chi non ne ha bisogno. A beneficiare maggiormente di uno sconto lineare sull’aliquota sarebbero infatti soprattutto i ceti alti, mentre alla grande maggioranza dei contribuenti toccherebbero le briciole.
La riforma fiscale, nel senso di adattamento al nuovo quadro federale che vieterà i regimi tributari agevolati, si dovrà fare, ma è importante farla senza costo per la collettività. Non avessimo un sistema nazionale che mette i Cantoni in esagerata concorrenza fiscale tra loro, almeno per quanto riguarda le società potenzialmente più mobili, come quelle che fino a oggi possono fruire del regime agevolato, avremmo anche potuto ricavare qualcosa da questa operazione da investire in altre politiche. Ma gli sgravi posticci non sono né necessari né opportuni.
 

I comandamenti di Lorenzo

Dopo aver dato degli stupidi o servili a tutti sul Mattino di oggi, al PLRT, al PPD, a Gabriele Gendotti, a Luigi Pedrazzini, al Corriere del Ticino, alla Regione, ai leghisti che in Consiglio di Stato e in Gran Consiglio hanno detto SÌ, Lorenzo Quadri, che naturalmente di scuola se ne intende più di una Montessori, sfida addirittura Mosè e ci propone i suoi 10 comandamenti. Siccome sono in viaggio e ho un poco di tempo (sto tornando dalla visita a SwissSkills a Berna), mi permetto di riportarveli e di commentarli. Dunque, La scuola che verrà non andrebbe sperimentata perché:

1) Produce un livellamento verso il basso delle competenze degli scolari ticinesi.

Lorenzo ha certezze granitiche e ha paura di fare l’esperienza e vedere se le cose stanno davvero così o se le sue teorie saranno clamorosamente smentite. La storia ci dice che quando si sosteneva lo stesso concetto ai tempi dell’unificazione di scuole maggiori e ginnasio nella scuola media, il mitico abbassamento del livello generale non si è prodotto. Anzi. Il Ticino, unico Cantone che ha la scuola secondaria unificata, ha ottimi risultati per gli allievi migliori ed è tra i primissimi in tutte le classifiche sui titoli di maturità o accademici.

2) Sostituisce la parità di partenza con la parità d’arrivo.

Quella della parità di arrivo è una simpatica scempiaggine che Lorenzo si dev’essere sognato. La parità di partenza è la base della riforma, ma ne è un obiettivo anche l’accompagnamento degli allievi verso il miglior risultato possibile per ciascuno.

3) Propone una scuola non svizzera.

Qui Quadri ha ragione. Non vogliamo una controriforma, non vogliamo tornare ad una scuola che separa gli allievi a 10 anni sulla base di grossolanità, come accade purtroppo negli altri Cantoni. Questo sistema in Ticino l’abbiamo abbandonato 40 anni fa e non lo vogliamo di certo reintrodurre.

4) Propone la creazione della scuola pubblica socialista.

Questa è folcloristica, anche perché diversi Paesi comunisti proponevano anch’essi una scuola basata sulla selezione, che per fortuna non è la nostra tradizione. La scuola pubblica ticinese è da molti anni inclusiva, è di tutti ed è giusto che sia così. Non è il colore politico del capo del Dipartimento che connota questa ed altre istituzioni, il nostro sistema politico per fortuna non lo permette.

5) Trasforma la scuola da istituzione a servizio sociale.

Questa è surreale. Il progetto La scuola che verrà investe nei docenti, dando loro le condizioni per essere vicini agli allievi. I bravi docenti potranno così operare meglio. Non c’è nulla che si riferisce alla socialità in questo progetto, che è eminentemente educativo.

6) Propone di rendere ancora più egualitarista la scuola ticinese, che è già la più egualitarista della Svizzera.

Lorenzo, fammi capire: vogliamo rendere la scuola meno equa e più discriminatoria? Abbiamo un sistema equo che funziona e vogliamo renderlo iniquo? Sulla base di quali criteri oscurantisti?

7) Propone l’utilizzo di allievi come cavie umane (e se la sperimentazione fallisce, chi si assume la responsabilità)?

Gli allievi delle sedi sperimentali, che faranno lo stesso programma degli altri allievi ma avranno più vicinanza con i loro docenti, non rischiano certo di essere seguiti peggio di oggi. Se l’esperienza non dovesse dare risultati migliori di quelli attuali sarò io a prendermene la responsabilità, significherà che le misure proposte non si saranno dimostrate efficaci per fare dei passi avanti, ma in ogni caso gli allievi non subiranno alcuna ripercussione negativa.

8) La sperimentazione non è affatto tale, ma è la partenza della riforma: il rapporto taroccato alla fine dei tre anni sperimentali è già programmato (inoltre, a dimostrazione della totale opacità dell’operazione: nemmeno si sa quale istituto verrà incaricato di stilarlo, e con quali indicatori).

Questo è un insulto al Gran Consiglio, che certamente sarà chiamato e vorrà dire la sua al termine dei tre anni sperimentali, e alla ricerca svizzera, che è di prima qualità a livello mondiale. L’istituto che farà la valutazione lo deciderà il Consiglio di Stato e sarà esso stesso a dirci come intende procedere. Vogliamo insegnare ai ricercatori il loro mestiere?

9) I costi saranno stratosferici e ci sarà un’esplosione della burocrazia: 7 milioni per la sperimentazione e 35 milioni all’anno per l’implementazione in caso di approvazione popolare. Costi che evidentemente pagherà il contribuente. Intanto però, adducendo misure di risparmio, il Dipartimento taglia sulle risorse per casi difficili. Quindi si risparmia sulla pelle degli allievi più fragili, danneggiando loro, le loro classi ed interi istituti scolastici. Poi però al DECS i grandi scienziati in pedagogia, che mai hanno messo piede in un’aula, si sciacquano la bocca con “l’inclusione”.

Le risorse per i casi difficili non sono mai state tagliate, sono state riallocate e concentrate per renderle più efficaci, e la riforma è stata progettata da persone che nella scuola hanno passato molti anni e in parte ancora ci lavorano direttamente. La spesa in caso di generalizzazione sarà di 25 milioni per il Cantone, meno dell 1% di quanto esso spende e circa quanto concesso ai contribuenti più abbienti con l’ultimo pacchetto fiscale e sociale; non ci porterà certo al top della spesa pro capite per l’educazione, ma faremo un bel passo avanti. Lo stesso dicasi per i 9 milioni di spesa per i Comuni.

10) La riforma spinge tutti verso il liceo, svilendo la formazione professionale.

Questa è particolarmente bella. Con la riforma i criteri di accesso alle scuole post-obbligatorie rimangono gli stessi, anzi, togliendo i livelli A e B finalmente si toglie l’impressione, profondamente sbagliata, che le scuole professionali siano scuole di seconda scelta, valorizzandole più di oggi.

Caro Lorenzo, come novello Mosè vali poco. Il tuo decalogo è un’accozzaglia di fandonie che non vale nemmeno la carta su cui è scritto.

Non fermiamo l’innovazione scolastica (il caffè, 2.9.2018)

Oltre 40 anni fa, quando si decise di passare da ginnasio e scuola maggiore alla scuola media unica, uno degli argomenti dei contrari a quella riforma era il presunto abbassamento del livello generale della scuola che avrebbe prodotto l’accantonamento delle due filiere.

Oggi possiamo dire dati alla mano che quella previsione era totalmente errata. In proporzione alla popolazione scolastica il Ticino è infatti il terzo Cantone in Svizzera per maturità (liceo e Scuola cantonale di commercio), il primo per maturità professionali e il secondo per titoli universitari ottenuti dagli studenti. Il tasso di maturità per l’accesso alle università (dati 2015) è del 30.1%. Meglio di noi fanno solo BS (31.4%) e GE (32.6%). Il tasso di maturità professionali è del 22.4%, il più alto del Paese. Il tasso di titoli universitari, molto spesso dopo studi svolti in tedesco o francese, è (dati 2017) del 18.5% e meglio di noi fa solo GE (19%). Nessuno vuole un aumento di liceali e universitari, ma il fatto che da noi questi dati sono molto buoni significa che la nostra scuola, già più equa di quella degli altri Cantoni, non ha prodotto affatto un abbassamento del livello generale, al contrario.

La stessa previsione errata di 40 anni fa viene riproposta e sottolineata dai referendisti contro la sperimentazione del progetto “La scuola che verrà con modalità molto analoghe a quelle del 1974, ma ci sono buoni motivi per credere che anche stavolta essa sarà smentita dai fatti, ammesso che il prossimo 23 settembre dalle urne uscisse un SÌ. La ricerca educativa ha infatti mostrato da anni che la gestione dell’eterogeneità degli allievi in un contesto unico, come già accade in Ticino, accompagnata da forme didattiche che permettono concretamente agli insegnanti di essere più vicini agli allievi – ciò che La scuola che verrà propone di fare – porta a risultati scolastici generali migliori per tutti, allievi più e meno bravi. La fase pilota di tre anni in votazione il 23 settembre permetterà proprio di verificare dati alla mano l’efficacia delle misure proposte per andare in questa direzione. È dunque nell’interesse anche degli scettici che questo svolgimento avvenga, proprio affinché si possano trarre conclusioni basate su dati concreti. Dire di no oggi è prematuro e non farebbe altro che bloccare l’innovazione scolastica.

La scuola dell’obbligo ticinese, tra le migliori in Svizzera, non opera una selezione precoce (in alcuni casi già a 10 anni!) come avviene in molti altri Cantoni svizzeri. E questa politica, come dimostrano i nostri risultati, ci ha dato ragione. Con “La scuola che vorrà” possiamo fare un ulteriore passo avanti, ad esempio abolendo i livelli in tedesco e matematica in III e IV media e sostituendoli con forme organizzative che permettono di seguire gli allievi più da vicino (ad esempio con aumento dal 4 al 34% delle ore-lezione complessive svolte a metà classe e con due docenti alla scuola media) senza separarli grossolanamente e precocemente in rigide categorie.

I referendisti, invocando una scuola “più svizzera” e “un’altra riforma” vogliono in realtà riportarci indietro di oltre 40 anni (una proposta è già stata depositata in Gran Consiglio), quando i bambini venivano selezionati dopo le scuole elementari tra chi andava al ginnasio e chi alle scuole maggiori. Una selezione basata molto più sulle impressioni e sulla provenienza sociale degli allievi che sulle loro effettive risorse potenziali. Una selezione precoce dannosa e inefficace visti i miglioramenti dei risultati della scuola ticinese dal passaggio alla scuola media unica. Per i giovani il tempo della selezione e delle scelte arriva alla fine della scuola obbligatoria, ma fino a quel punto è importante accompagnare ognuno al meglio verso la conoscenza, senza regalare nulla ma rispettando le caratteristiche e il ritmo di crescita di ciascuno, che differiscono da una persona all’altra.

Confido che la popolazione sappia dare fiducia alla scuola e alla sua capacità di innovarsi.  Non si chiede una cambiale in bianco. Votando SÌ alla sperimentazione triennale del progetto otterremo dei dati oggettivi che saranno a disposizione di tutti e ci daranno gli elementi necessari per scegliere con cognizione di causa le modalità più efficaci per migliorare la scuola ticinese.

Scuola che verrà: risposta a Rigozzi (laRegione, 31.08.2018)

Rispondo volentieri alla riflessione di Gerardo Rigozzi a proposito del progetto “La scuola che verrà” pubblicata su questo giornale [laRegione] il 30 agosto. Convengo che, dopo la disinformazione propinata da alcuni referendisti, quelle che pone Rigozzi sono questioni legittime, seppur in parte fuori tema e condite da qualche imprecisione e forzatura.
Le domande fuori tema sono quelle riguardanti i requisiti che devono avere gli allievi per accedere senza troppe difficoltà agli studi liceali e le conoscenze e attitudini che devono avere gli allievi per frequentare le varie scuole professionali. In effetti, queste questioni riguardano il “cosa” si insegna e sono definite dai piani di studio, che non sono né tema né oggetto della riforma organizzativa della scuola la cui sperimentazione è in votazione il 23 settembre.
La questione di “cosa” si insegna oggi e di cosa si insegnerà domani alla scuola dell’obbligo, di quali discipline e al loro interno quali specifiche competenze disciplinari e quali competenze trasversali vanno approfondite e padroneggiate dagli allievi, è una questione importante su cui si sta lavorando da anni, prima con la redazione del piano di studio (2011-2015), ora nel lungo lavoro di implementazione (dal 2015). Lo stesso vale per i piani di studio delle scuole postobbligatorie, che sono già ben definiti, anche se vi sono delle evoluzioni alle quali anche il settore obbligatorio dovrà prestare attenzione affinché l’insieme delle richieste agli allievi siano coerenti. Tutto questo però – ribadisco – non è oggetto di discussione per la votazione del 23 settembre. I temi vanno distinti e affrontati uno alla volta, con ordine.
“La scuola che verrà” si occupa del “come”, dell’organizzazione dell’insegnamento, affinché il percorso alla scuola dell’obbligo sia più vicino al ritmo di apprendimento degli allievi, i quali sono diversi tra loro. L’obiettivo è mettere gli allievi in condizioni migliori per permetter loro di imparare ciò che il piano di studio prevede grazie a una maggiore vicinanza tra docenti e allievi. Questo, proprio affinché questi ultimi possano costruirsi il bagaglio migliore possibile, acquisendo quegli “strumenti prioritari per un inserimento positivo e critico nella società” a cui faceva cenno il mio interlocutore.
Nel suo articolo Rigozzi suggerisce che con la riforma si passerebbe a una scuola che “sballotta” gli allievi “da un gruppo all’altro, da un docente all’altro, da corsi in comune, ai laboratori, agli atelier, alle settimane progetto, ai corsi polisportivi, alle settimane verdi e bianche, e così via”. Questa lettura è una forzatura. La scuola attuale conosce già bene questa articolazione e tutti gli elementi sopra elencati che la compongono sono largamente apprezzati e sussistono da ben prima del mio arrivo alla direzione del Decs (salvo la forma dell’atelier con docente titolare e di sostegno, che è l’unica vera novità). Il riferimento alla sindrome della “demenza digitale”, sindrome che colpisce alcuni giovani dediti all’uso eccessivo dei media digitali a causa della sovrastimolazione dovuta agli elementi presenti sullo schermo, con tutto ciò non c’entra proprio nulla.
Il progetto di riforma non sballotta nessuno, propone semmai una migliore complementarità e un rafforzamento delle buone pratiche già in atto, a tutto vantaggio degli allievi e del loro apprendimento. I laboratori, ore in cui il docente incontra metà classe per volta e può quindi lavorare in maniera più mirata con solo 10-12 allievi, saranno potenziati (da 4 ore a 24). Le giornate progetto aumenteranno, così come l’ampliamento delle opzioni e la co-docenza, oggi molto parziale, che verrà sostenuta. Tutte queste sono cose che la nostra scuola conosce bene e che se articolate correttamente, mettendo gli allievi nelle condizioni di essere seguiti più da vicino dagli insegnanti in base alle proprie caratteristiche e bisogni, potrà elevarne la qualità.
Rigozzi chiede cosa deve fare la scuola per soddisfare gli interessi e le capacità degli allievi dopo 7 anni di scuola indifferenziata, ma anche questa domanda è mal posta. Innanzitutto di anni di scuola dell’obbligo in Ticino ce ne sono 11 e non 7. E poi, come dovrebbe ormai sapere, il progetto che si intende sperimentare supera la separazione degli allievi in livelli A e B in III e IV media, ma non abolisce affatto la differenziazione pedagogica, anzi, permette di differenziare più efficacemente. “La scuola che verrà” propone delle misure concrete in tal senso, quali le ore-lezione a metà classe o con doppio docente (che passeranno dal 4 al 34% delle ore complessive di lezione alle scuole medie, con un picco del 50% in IV media). Questa e altre misure mettono i docenti nella posizione di poter considerare meglio e già dalla I media le differenze tra gli allievi, senza doverli però separare formalmente ed etichettarli come accade oggi con i livelli.
Provo un poco di tristezza per il disprezzo che Rigozzi manifesta nel suo scritto per la formazione continua degli insegnanti, tristezza che viene anche dal fatto che la prima volta che lo incontrai lui era docente alla Scuola magistrale, quindi, secondo il suo dire, uno di quegli “esperti che non hanno mai messo piede in una classe di scuola dell’obbligo e non avrebbero nulla da dire ai docenti”, mentre io ero allievo. Proprio alla Magistrale ho imparato cosa sia la differenziazione pedagogica degli allievi in classe: io non me lo sono dimenticato, Rigozzi purtroppo sembra di sì.
Un ultimo punto è importante. Il coinvolgimento c’è stato, grazie a due consultazioni pubbliche che hanno permesso di migliorare considerevolmente il progetto inizialmente proposto grazie in particolare ai numerosi suggerimenti degli attori scolastici. Il 23 settembre si tratta di votare sulla sperimentazione. Mettere alla prova le misure proposte è l’unico modo per raccogliere dati utili per valutare precisamente la loro efficacia e continuare così nel fondamentale processo di continuo miglioramento della nostra scuola.

Scuola che verrà: Bühler e i suoi mantra

Ringrazio il signor Bühler per la sua presa di posizione [pubblicata su Ticinonews il 29.8.2018] che mi permette di fare chiarezza su un punto che evidentemente non è chiaro e che – sperando di turlupinare il cittadino – viene subdolamente martellato da lui e altri referendisti come un mantra al fine di insinuare il dubbio che la maggior parte dei docenti non abbiano partecipato al processo di costruzione del progetto di riforma La scuola che verrà e che non appoggino la sperimentazione del progetto.

Capisco che Bühler possa non saperlo, ma in fase di consultazione i docenti si sono espressi in molti modi. Lo hanno fatto (1) attraverso delle prese di posizione collettive espresse dal collegio docenti del proprio istituto, che è l’organo ufficiale che rappresenta i docenti di una determinata sede scolastica. Lo hanno fatto (2) individualmente nel corso degli incontri diretti avuti con i responsabili dipartimentali nell’ambito degli incontri con tutti – sottolineo tutti – gli insegnanti della scuola dell’obbligo per presentare il progetto di riforma e raccogliere le opinioni dei docenti (incontri che sono stati verbalizzati e che hanno dunque fatto parte a tutti gli effetti della consultazione). Lo hanno fatto (3) attraverso le numerose associazioni magistrali presenti nel nostro cantone, associazioni che – lo ricordo – hanno portato la propria adesione alla versione definitiva del progetto prima che questo approdasse e venisse approvato con alcune ulteriori modifiche dal Gran Consiglio. Infine, lo hanno fatto (4) esprimendosi a titolo personale utilizzando il formulario online.

Quest’ultimo mezzo, tra l’altro, era a disposizione della popolazione tutta. Anche Bühler avrebbe potuto contribuire con i suoi commenti al miglioramento della versione iniziale del progetto. Constato invece che lui, come pure UDC, Lega, Piero Marchesi, Lorenzo Quadri e la maggior parte delle poche persone che oggi si esprimono pubblicamente contro il progetto – peraltro facendo spesso erroneamente riferimento a questioni vecchie e ormai definitivamente sorpassate – non abbiano partecipato in nessun modo alle consultazioni.

Detto quanto sopra, non è affatto sorprendente che solo parte dei docenti abbiano utilizzato il particolare canale del formulario online per esprimere il proprio parere. Anzi, è semmai positivamente sorprendente che nonostante la partecipazione alla consultazione fosse facoltativa, ben 700 docenti abbiano utilizzato questo specifico canale oltre o al posto degli altri canali disponibili per esprimersi.

In questo senso, il mantra che l’86% del corpo docenti non ha preso parte alle consultazioni utilizzando il particolare canale del formulario online come argomento è poca cosa. L’importante non è il mezzo specifico che i docenti hanno scelto per partecipare alla consultazione, ma il fatto che una gran parte di loro si sia espressa in un modo o nell’altro e abbia così contribuito attivamente a migliorare il progetto.

È stato infatti in buona parte proprio grazie al prezioso e ricco contributo dei docenti alla seconda fase di consultazione che abbiamo proceduto a modificare la versione iniziale del progetto, facendo tesoro dei suggerimenti e delle critiche costruttive ricevute e migliorandolo in maniera considerevole. La versione finale che si propone ora di mettere alla prova è descritta nel Messaggio governativo nr. 7339 del 5 luglio 2017, con l’aggiunta delle modifiche proposte nel Rapporto di maggioranza della Commissione scolastica del 26 febbraio 2018, e tiene conto seriamente di quanto espresso dai docenti.

Non per nulla molti docenti in questi giorni si sono espressi, individualmente o tramite associazioni varie, a sostegno della sperimentazione che, se approvata il 23 settembre, ci permetterà di ottenere dati preziosi volti a verificare se – come abbiamo ragione di credere – grazie a una maggiore vicinanza tra docenti e allievi potremo rafforzare ulteriormente la qualità della scuola dell’obbligo ticinese.

Non credo che Bühler e gli altri siano arrivati alla fine di questo articolo. Dopotutto stanno dimostrando con i loro interventi che a loro i fatti e le misure proposte nel progetto La scuola che verrà interessano ben poco: l’importante è insinuare il dubbio e martellare strane interpretazioni della realtà nella testa della gente pronta a lasciarsi soggiogare senza porsi domande. Io non chiedo credulità. Auspico che la popolazione ticinese sia correttamente informata sui contenuti chiave del progetto di riforma al fine che si possa esprimere con cognizione di causa in merito all’opportunità di sperimentarlo. Trovate tutte le informazioni sul sito www.ti.ch/lascuolacheverra.

GITE A SCUOLA: UNA BELLA NOVITÀ

Le gite scolastiche rappresentano un momento speciale importante per gli allievi e le loro famiglie. Sono giornate arricchenti e di crescita che permettono a bambini e ragazzi di fare gruppo e di apprendere fuori dal normale contesto scolastico. Per le famiglie queste uscite, in particolare le settimane bianche e verdi, comportavano però fino all’anno scorso uno sforzo economico aggiuntivo non indifferente. Una spesa perlopiù imposta in quanto le gite fanno parte a tutti gli effetti della scuola obbligatoria e dunque non sono facoltative.
 
Da quest’anno c’è però una bella novità. Su iniziativa del mio Dipartimento il Cantone stanzierà infatti un milione all’anno per garantire le attività e i servizi agli allievi delle scuole medie, assumendosi così tutti i costi aggiuntivi finora assunti dalle famiglie, che saranno chiamate a contribuire ancora, ma unicamente in proporzione ai costi reali economizzati in virtù dell’assenza dei figli da casa. Per la scuola comunale (scuola dell’infanzia ed elementare) saranno i Comuni, che ringrazio per la comprensione e la partecipazione a questo sforzo, a coprire la differenza.
 
Queste misure, che vanno a beneficio di tutti, ma sono particolarmente importanti per le famiglie più in difficoltà, contribuiscono concretamente a consolidare il principio di gratuità della scuola dell’obbligo, una scuola che ha il compito di essere a tutti gli effetti la scuola di tutti.
 
Potremo fare un ulteriore passo in questa direzione, votando SÌ alla sperimentazione del progetto di riforma “La scuola che verrà” il prossimo 23 settembre e permettendo così di ottenere dati preziosi volti a verificare se – come crediamo – grazie a una maggiore vicinanza tra docenti e allievi potremo rafforzare ulteriormente la qualità della scuola dell’obbligo, a beneficio di noi tutti.
Maggiori informazioni su: www.si-scuoladitutti.ch

GLI ZAPPATORI E IL TORNADO

Qualche politico di casa nostra ritiene inopportuno che mi esprima su questioni di civiltà, come il trattamento riservato ai migranti da alcuni Paesi, o su politiche proposte da nazioni estere, come quelle inerenti all’applicazione del trattato di Dublino. Nell’ambito delle mie funzioni mi dedico tutti i giorni ai ticinesi, sia dirigendo il mio Dipartimento, sia partecipando alle decisioni del Governo, mettendo in campo riforme per il futuro e facendo tutto ciò che è in mio potere per consolidare soluzioni attuabili ed efficaci ai problemi. Ciò non mi impedisce, anzi, mi richiede di interessarmi anche a ciò che ci circonda, a ciò che sta accadendo attorno a noi e che più o meno direttamente ci tocca. Per esempio in ambito di migrazione, perché anche noi siamo coinvolti dal cinismo imperante o, più concretamente, dall’applicazione degli accordi Schengen/Dublino.

Non possiamo proteggere e coltivare efficacemente il nostro orto senza alzare ogni tanto lo sguardo da terra e contestualizzare la situazione generale, per identificare eventuali pericoli in arrivo per tempo, evitarli se possibile o comunque per preparare soluzioni valide prima che sia troppo tardi. Se un tornado si avvicina al nostro orto è meglio  saperlo e reagire per tempo, piuttosto che mettersi un paraocchi e continuare imperterriti a zappare la terra. Galeazzi, Marchesi, Quadri: mettetevi pure il cuore in pace, perché su questi temi non ho alcuna intenzione di star zitto. Viviamo in un Paese libero, nel quale tutti sono liberi di scegliere di cosa parlare e di leggere o ignorare quel che gli altri dicono. Se non vi garba ciò che ho da dire siete liberi di guardare altrove, nessuno vi obbliga ad alzare lo sguardo da terra.